Dunque una bella proposta concertistica che prosegue la serie appena conclusa con il concerto di Ben Sluijs, ascoltato martedì scorso. L’altosassofonista belga, nato ad Anversa nel 1967, si è proposto l’altra sera a Mariano di Dalmine in compagnia di Manolo Cabras, contrabbassista sardo da anni residente nei paesi bassi, e di Eric Thielemans, batterista. Sluijs, che è stato selezionato l’anno passato per rappresentare il suo paese all’Euro jazz festival e ha alle spalle, oltre ad una solida formazione classica, anche quattordici realizzazioni discografiche.
Un concerto interessante, quello proposto dai tre, condotto sul filo dell’originalità ed aperto non a caso con un brano, «The blessing», tratto dal repertorio di Ornette Coleman. Pur nel solco tracciato dal grande innovatore di Fort Worth Sluijs cerca una conciliazione tra libertà espressiva e atteggiamenti cool. Il suo suono, soprattutto nel primo set, leggerissimo e in filigrana, sovente in secondo piano e minacciato dalla pur contenuta sezione ritmica, e il suo agile e melodico fraseggio, fanno pensare alla grazia di un Paul Desmond o di un Lee Konitz prima maniera. Un tratto così insistito da condizionare talvolta gli sviluppi stesso della musica. Eppure, coadiuvato dai suoi due ottimi compagni di strada, Sluijs adotta questo stesso mood generando contesti improvvisativi assai più informali, tonalmente indefiniti o sfuggenti. Esemplari il blues finale con il quale ha chiuso il primo set, in sfuggente equilibrio tra i vincoli ritmici e armonici del canovaccio, Thielemans pronto ad insidiare le certezze, e il delicato standard offerto in chiusura.